La traversata dell’Oceano Atlantico tre anni dopo
Mentre in frigo ci sono i filetti di dorado pescato ieri pomeriggio, nella rete marciscono oscillando le ultime arance e la randa è l’unica vela che ci resta, chiudo il 28esimo libro di questa lunga, seconda traversata che dal Salento mi ha portato al di là dell’Oceano Atlantico.
E un’altra volta nel piovoso abbraccio di Martinica (ma non si era detto Guadalupa? mi faccio sempre fregare…).
Si sa, la seconda volta non è mai come la prima: si ha più sangue freddo e si misurano le cose per quello che sono, con metro più oggettivo. Allora il confronto arriva inevitabile, si cercano le stesse cose che ci hanno dato i brividi la prima volta e ci si aspetta la stessa emozione.
Così non è: c’è sempre quel qualcosa che manca, che non è come lo si ricorda.
Per esempio, manca la Croce del Sud ‘stavolta, perché siamo troppo a nord. Non ci seguono i delfini perché siamo troppo lenti e il mare nero di notte non brilla di plancton perché è ormai troppo tardi.
Ma mentre tentavo di attirare gli squali usando come esca la testa del dorado e come campanello d’allarme le lattine di coca cola appese alla lenza, dall’acqua è spuntato fuori, vicinissimo, un dorso di delfino enorme, liscio e lucido. Ho iniziato a balbettare, cercando di gridare agli altri di uscire fuori, consapevole che i delfini non siano solitari e nuotino in modo diverso.
Poi una seconda volta, ancora più vicino, qualcosa è scivolato affianco alla barca: immenso, bianco, lento. L’ho seguito correndo fino a prua, perché non poteva essero vero.
Erano le balene, tante balene che migravano, impercettibili e frettolose: un pomeriggio che vale tutti i 23 giorni di maremaresolomare, i turni di notte in quattro, la cucina vegetariana e il carattere di merda del capitano che non abbiamo ammutinato solo perché troppo pesante da buttare in mare.
Nei “pro” ci metto anche che per la prima traversata atlantica eravamo pieni di burro, ravioli in scatola e cibi francesi non meglio identificati. Questa volta, memore dell’errore, ho preventivamente rifornito Tamala di pizzarieddhi e cacioricotta, olio d’oliva, crema di limoncello fatta in casa e negramaro. Più le carte da briscola e quelle da Burraco. E i nomi delle cose scritti in dialetto sulle scatole delle conserve, così civilizziamo ‘sti mangialumache.
Nonostante il meteo ci abbia risparmiati (e abbandonati a una lentezza senza fine), è stata un po’ la traversata della speranza: dopo appena un giorno si è rotto il vang (un tubo per cui non vale la regola “non serve a un tubo”), poi la buonanima del fiocco – già riparato a Las Palmas – ha spirato definitivamente (sempre sia lodato) lasciandoci con una sola vela – quella sbagliata, ça va sans dire.
Nel frattempo gli Alisei se ne sono andati ai Caraibi senza aspettarci: insomma averci messo 23 giorni per attraversare l’Oceano e non sapere a chi accendere un lumino per grazia ricevuta.
Ai miei, che soffiavano da casa – lo so – perché per loro prima o seconda traversata l’ansia è stata la stessa 😛
Alzo gli occhi, forse per la prima volta con consapevolezza, sull’ultima notte stellata di questa traversata e cerco Orione con la sua cintura. E trovo al loro posto di sentinelle Sirio da un lato e le Pleiadi dall’altro.
Una stella cadendo mi chiede cosa desideri, Brì. A posto così, ma poi mi pento di non averle risposto “tempo”.
Orione è la costellazione che più di tutte non stanca di sedurmi perché ha la forma di una clessidra e mi ricorda che il tempo scorre e che perciò devo sbrigarmi. Ma anche di una farfalla, che mi assicura che posso farlo con leggerezza.
Eppure, quando ormai sta per finire, vorrei che durasse ancora un po’.
Questo limbo lontano da tutto, che dondolandomi mi avvicina.
Ma per una cosa che finisce, un’altra ne inizia.
Per quel che mi riguarda, fra 3 giorni mi aspetta un aereo: Buenos Aires solo andata, biglietto per una persona soltanto (consiglio vivamente come viaggio di nozze): la fine del mondo si avvicina (la Patagonia, non il divorzio).
Perché, come dice mia mamma, sono una “testona” (lei lo dice calcando sulla “ssh” romagnola, quindi immaginatevelo così).
E i sogni non sono fatti per stare chiusi tra cassetti e naftalina.
Invece, per quel che ci riguarda, nell’incontro tra Brì e Pass c’è da sempre stata questa partenza.
E un sogno sognato per uno è così che deve avverarsi.
Guarda il video della traversata atlantica (è una figata, giuro! l’ho fatto io).
Una risposta
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